Come si fa (e come si scrive) la tesi di laurea senza impazzire

Salta subito dove ti serve Apri l’indice

La stesura della tesi di laurea è quel momento che tutti gli studenti aspettano e temono allo stesso tempo: da una parte chiudi anni di studio, dall’altra ti ritrovi davanti a un foglio bianco che sembra guardarti con cattiveria, chiedendoti se hai davvero scelto l’argomento della tesi giusto o se era meglio darsi all’uncinetto.

In questa guida completa ti spieghiamo passo per passo come funziona davvero: cosa scrivere, come organizzare i capitoli, quali errori evitare e come sopravvivere senza impazzire.

Niente manuali accademici polverosi: qui trovi consigli pratici, linguaggio semplice e dritte da ex studenti che ci sono già passati e sono usciti vivi (e laureati).

Prima di iniziare:
cosa vuol dire davvero scrivere la tesi di laurea

Scrivere la tesi non è un hobby rilassante, è una maratona accademica con un traguardo preciso: la laurea. Non è solo buttare giù pagine a caso: significa saper impostare un lavoro lungo e metodico, in cui ogni dettaglio conta. Fare errori qui è facile, ma imparare un metodo ti salva settimane di nervoso.

In pratica, fare una tesi è il modo in cui il tuo ateneo ti chiede di dimostrare che hai capito e sai applicare quello che hai studiato. La tesi universitaria non è un esame in più, ma la prova finale: quella che chiude il cerchio del tuo percorso e ti porta in aula davanti alla commissione.

Non è un libro, non è un tema, non è un incubo (forse)

Redigere una tesi non è come montare un mobile Ikea: lì almeno hai le istruzioni. Qui ti ritrovi con un relatore che ti osserva in silenzio e un documento Word che lampeggia minaccioso.

Gli errori più comuni? Scrivere tutto di getto senza una scaletta, copiare interi paragrafi da internet rischiando il plagio, oppure rimandare fino all’ultimo. La verità è che la tesi è un processo di scrittura, fatto di tentativi, revisioni e correzioni continue.

Le 3 grandi parti di una tesi: preliminari, corpo e finali

Ogni tesi segue una logica: c’è un inizio, un centro e una fine. Questa è la vera struttura della tesi, quella che ti permette di non perderti strada facendo.

La logica è semplice: parti preliminari (copertina, indice, abstract), corpo centrale (i capitoli) e parti finali (bibliografia, appendici). Ogni tesi segue questo schema, a prescindere dal corso di laurea o dal tipo di ricerca.

Il trucco è lavorare per capitoli, senza voler scrivere tutto insieme: così il lavoro resta ordinato e meno spaventoso.

Studente stressato davanti al computer mentre scrive la tesi di laurea

Vuoi avere tutta la tesi riassunta in una sola pagina? Abbiamo preparato per te un template. Gratis, pronto da scaricare.

Parti preliminari della tesi di laurea: cosa sistemare prima dei capitoli

Prima di buttarti a scrivere i capitoli, ci sono delle sezioni preliminari che aprono la tua tesi di laurea e che servono a darle una struttura ordinata e riconoscibile. Sono quelle pagine che magari non leggerai mai con entusiasmo, ma che fanno capire subito alla commissione che sai presentare un lavoro accademico come si deve.

Queste parti iniziali cambiano un po’ da ateneo ad ateneo, ma di solito comprendono: copertina, frontespizio, dedica o ringraziamenti, indice, elenchi di figure, glossario e abstract. Tutti elementi che danno un aspetto serio alla tua tesi e che segnano l’avvio ufficiale del tuo percorso di studi.

In poche parole, le parti preliminari sono la porta d’ingresso della tua tesi di laurea: più sono curate, più mostrano rispetto per il tuo corso di laurea e per chi andrà a leggerla.

Copertina e frontespizio
(spoiler: te li dà l’ateneo)

La prima cosa che vedrai nella tua tesi è la copertina, ma non farti illusioni: non la puoi inventare tu. Ogni ateneo fornisce un modello standard, spesso già pronto da scaricare, con logo, dove devi solo compilare titolo della tesi, nome del relatore, candidato e anno accademico.

Subito dopo arriva il frontespizio, praticamente identico ma stampato all’interno. Insomma: zero creatività, massima precisione.

Dedica e ringraziamenti (quando, come e se farli)

Non sono obbligatori, ma sono la parte più personale della tesi. Puoi dedicare due righe a chi ti è stato vicino o ringraziare chi ti ha supportato durante la scrittura.

Qui è anche il posto giusto per citare il tuo relatore (meglio se con un tono rispettoso e non da dichiarazione d’amore).

Indice / sommario
(sì, sono la stessa cosa)

Spesso si fa confusione tra indice e sommario: in Italia sono sinonimi e servono a mostrare la struttura del lavoro.

Includono titoli dei capitoli e sottosezioni con il relativo numero di pagina, così la commissione non si perde tra i vari pezzi.

Elenchi e glossario (figure, tabelle, abbreviazioni)

Se nella tua tesi usi molte immagini o dati, prepara un elenco di figure e un elenco apposito. Aggiungi anche un glossario di abbreviazioni se ti serve: così eviti che il lettore impazzisca cercando di capire cosa significhi una sigla.

Ricorda: organizzare i contenuti in capitoli e paragrafi li rende molto più leggibili, soprattutto quando il lavoro contiene numerosi dati di riferimento.

Abstract o riassunto
(e la differenza con la sinossi)

L’abstract è una sintesi breve (mezza pagina, massimo una) che riassume obiettivi, metodo e risultati. In Italia va quasi sempre all’inizio della tesi.

La sinossi, invece, è un documento separato che alcuni atenei richiedono per il caricamento online della tesi. Serve a dare un colpo d’occhio veloce sul contenuto, utile anche alla commissione prima della sessione di laurea.

Struttura della tesi: come organizzare il corpo del testo e i capitoli

Se le parti preliminari sono il biglietto da visita, il corpo centrale è la sostanza: qui costruisci davvero il testo della tesi di laurea. È la parte che richiede più tempo, concentrazione e organizzazione, perché deve dimostrare alla commissione che non hai solo copiato e incollato, ma che sai sviluppare un lavoro di ricerca coerente.

Ogni elaborato è suddiviso in capitoli e sottosezioni che seguono una logica: introduzione, revisione della letteratura, metodologia, analisi dei risultati, discussione e conclusioni. Ogni capitolo della tesi è come un episodio di una serie tv: deve avere senso da solo ma anche tenere insieme tutta la trama.

Non esagerare con i sottoparagrafi: non stai scrivendo il codice civile, basta che il testo sia chiaro. Il trucco per non impazzire è lavorare a blocchi: il lavoro deve essere ben suddiviso in capitoli, così eviti il panico da “documento infinito”.

Durante la stesura tieni sempre una scaletta a portata di mano: senza, rischi di perderti e di scrivere capitoli che sembrano fanfiction.

Esistono diversi tipi di tesi di laurea, e spesso la scelta dipende dal tuo corso di studi e dal tuo relatore. Ad esempio: una tesi triennale è di solito più descrittiva e meno originale, mentre difficilmente richiede un esperimento vero e proprio. Diverso è il caso di una tesi magistrale: qui il livello sale, ed è più frequente dover proporre analisi nuove o ricerche personali.

In poche parole, che tu stia scrivendo una triennale o una magistrale, questa parte è il corpo principale: la sezione che più pesa sulla valutazione finale e che ti porterà davvero in aula alla discussione davanti ai membri della commissione di laurea.

Cosa deve contenere davvero l’introduzione

Molti studenti pensano che l’introduzione serva solo a riempire una pagina con frasi generiche tipo “questa tesi parla di…”. In realtà, è una parte fondamentale e deve contenere tre elementi precisi:

  1. Motivazioni e scelta dell’argomento
    Devi spiegare perché hai deciso di affrontare proprio quell’argomento: perché è rilevante, attuale o legato al tuo percorso.

  2. Obiettivi e domande di ricerca
    Qui definisci lo scopo della tua tesi: cosa vuoi dimostrare, quali domande intendi affrontare. Una tesi non è mai un racconto libero: è un lavoro di ricerca che si muove dentro un quadro preciso. Devi dire chiaramente su cosa ti concentri e come intendi rispondere.

  3. Struttura del lavoro
    Alla fine dell’introduzione spieghi come hai organizzato i capitoli: la famosa scaletta. Non serve entrare nei micro-paragrafi, basta un esempio tipo: “Nel primo capitolo presento lo stato dell’arte, nel secondo la metodologia, nel terzo i risultati, e chiudo con le conclusioni.”

Capitolo 1 – Revisione della letteratura (alias “ho letto un sacco di roba”)

La prima ricerca bibliografica è come aprire Netflix: trovi mille titoli e non sai cosa scegliere, ma l’importante è non finire su roba trash. Ma questo è il capitolo che tutti devono scrivere, a prescindere dal tipo di tesi. Non esistono scuse: senza revisione della letteratura non hai basi solide, perché la tua tesi deve partire da ciò che è già stato scritto sul tema.

In parole semplici: la revisione serve a dimostrare che non stai inventando l’acqua calda. Devi mostrare di conoscere studi principali, teorie, modelli e risultati già pubblicati, così chi legge capisce da dove parti e cosa aggiungi di nuovo.

Ecco cosa mettere:

Ricerca bibliografica

Spiega come hai trovato le fonti: motori di ricerca accademici come Google Scholar, Scopus, Web of Science e cataloghi d’ateneo.

Fonti bibliografiche

Includi libri, manuali, articoli, ma privilegia articoli scientifici e fonti già riconosciute. Cita solo fonti affidabili e, se possibile, autorevoli nel settore.

Organizzazione dei contenuti

Non fare un elenco infinito di citazioni. Raggruppa le fonti per filoni, temi o scuole di pensiero, così il testo resta chiaro e leggibile.

Hai già il mal di testa solo a pensare di leggere decine di articoli? Non sei solo: noi possiamo darti una mano a fare ordine tra le fonti.

Stato dell’arte

Dentro la revisione della letteratura, la parte più importante è lo stato dell’arte. Che cos’è? È la sintesi finale che dice: “Ecco cosa sappiamo finora sull’argomento e quali spazi restano aperti.”

In pratica:

  • Racconti le principali teorie o ricerche sul tema.

  • Mostri cosa è già stato dimostrato e cosa invece resta da indagare.

  • Indichi dove si inserisce la tua tesi.

Se stai scrivendo una tesi compilativa, lo stato dell’arte è quasi tutto il capitolo: metti ordine e colleghi le varie fonti.
Se invece fai una tesi sperimentale, lo stato dell’arte serve a introdurre le tue domande di ricerca.

Definizione dei concetti chiave

Prima di chiudere il capitolo, chiarisci i termini che userai. Non dare per scontato che tutti li interpretino come te. Se parli di “capitale sociale”, “inclusione”, “innovazione” o qualsiasi concetto tecnico, devi dare una definizione precisa, con citazioni accademiche.

Un consiglio pratico: qui puoi citare i classici. Ad esempio, il manuale di Umberto Eco Come si fa una tesi di laurea spiega come fissare definizioni senza ambiguità.

Capitolo 2 – Metodologia (il “come” hai fatto il lavoro)

Se il primo capitolo serve a dire “cosa si sa già”, qui invece racconti come hai lavorato davvero. È la parte in cui spieghi il tuo approccio, i dati raccolti e gli strumenti usati.

Che tu stia scrivendo una tesi sperimentale o una compilativa, il capitolo di metodologia non può mancare: mostra che dietro la tua stesura c’è un metodo preciso e non solo pagine messe insieme.

In pratica, è il manuale d’istruzioni della tua ricerca, quello che rende chiara la tua stesura e che dà credibilità al risultato finale. Senza una metodologia chiara, la tua tesi rischia di sembrare improvvisata.

Approcci: qualitativo, quantitativo, misto

Il primo passo è dire che tipo di approccio hai scelto:

  • Qualitativo → interviste, focus group, analisi di testi o documenti. Serve quando vuoi approfondire esperienze e significati.

  • Quantitativo → questionari, sondaggi, analisi statistiche, grandi dataset. Serve quando ti interessano numeri e percentuali.

  • Misto → unisce entrambi: raccogli dati numerici, ma li interpreti anche con strumenti qualitativi.

Non basta dirlo: spiega perché proprio questo approccio e in che modo ti aiuta a rispondere alle tue domande di ricerca. Così chi legge capisce la logica che guida ogni capitolo successivo.

Strumenti usati (questionari, interviste, dataset, esperimenti)

Dopo l’approccio, descrivi gli strumenti concreti: come hai raccolto i dati?

  • Se hai usato questionari: spiega come li hai costruiti (numero di domande, scale di risposta).

  • Se hai fatto interviste: chiarisci chi hai intervistato, con quale traccia, in che contesto.

  • Se hai lavorato su dataset: indica la fonte (es. database di ateneo, archivi pubblici).

  • Se hai fatto esperimenti: racconta il disegno dell’esperimento e come hai controllato le variabili.

Non limitarti a un elenco secco: il trucco è raccontare in modo ordinato, così la commissione capisce da dove arrivano i dati e come hai fatto ad analizzarli. In pratica, rendi chiaro il percorso nel testo, così non restano dubbi.

Set di strumenti colorati da ufficio e ricerca usati per raccogliere dati nella tesi di laurea

Metodi speciali (PICO, PRISMA, scoping review, CONSORT, ecc.)

Questa parte non riguarda tutti, ma solo chi lavora in ambito medico, psicologico o scientifico. Se è il tuo caso, devi seguire protocolli specifici:

  • PICO/PICOT → ti aiuta a formulare domande cliniche precise (Population, Intervention, Comparison, Outcome, Time).

  • PRISMA → linee guida per fare revisioni sistematiche in modo chiaro e trasparente.

  • Scoping review → revisione esplorativa, utile quando l’argomento è nuovo o poco studiato.

  • CONSORT, STROBE, CARE → regole per presentare studi clinici, osservazionali o casi clinici.

Se ti tocca, segui le norme redazionali del tuo ateneo o delle linee guida ufficiali. Non è burocrazia inutile: serve a far sì che il tuo lavoro sia leggibile, confrontabile e credibile.

Questionari, dataset, interviste… bello sulla carta, ma nella pratica un incubo. Se vuoi una metodologia a prova di relatore, meglio chiedere supporto.

Capitolo 3 – Analisi e risultati (la parte dove finalmente mostri cosa hai trovato)

Qui arriva il momento clou: mostrare cosa hai scoperto. Dopo aver raccontato come hai impostato il lavoro, ora fai parlare i dati. È il capitolo che dimostra che non ti sei limitato a scrivere bene, ma che hai davvero prodotto qualcosa.

Attenzione: anche se sei nel pieno della presentazione dei risultati, resta preciso. Usa grafici, elenchi e cita correttamente le fonti. Un consiglio pratico: controlla sempre le note a piè di pagina. Una nota messa male o un errore grammaticale possono rovinare l’effetto di un buon risultato. Sì, anche il piè di pagina fa parte della professionalità.

Presentazione dei dati

In questa sezione spieghi in modo chiaro cosa hai trovato. Non serve inventarsi un romanzo: racconta i risultati con logica e ordine. È il momento in cui impari cosa vuol dire davvero fare una tesi: prendere dati grezzi e trasformarli in un discorso leggibile.

Per farlo bene, impara a scrivere testi chiari, ordinati e senza giri di parole. È qui che la tua redazione della tesi diventa tangibile: dalla raccolta al risultato finale, tutto deve essere coerente.

Tabelle e grafici

Numeri, percentuali e correlazioni non si raccontano solo a parole: si mostrano. Inserire grafici serve a rendere i dati immediati. Meglio pochi grafici ben fatti che dieci figure incomprensibili.

Se la tua è una tesi compilativa, questa parte avrà meno numeri e più esempi testuali. Ma anche qui puoi usare schemi per rendere più chiaro il confronto tra fonti.

Discussione finale (qui sì che puoi dire la tua)

Dopo aver presentato i risultati, arriva la parte più personale: qui puoi finalmente mostrare la tua capacità di analisi. Non si tratta di ripetere i dati, ma di interpretarli: cosa significano? Confermano o smentiscono le teorie del primo capitolo? Offrono spunti nuovi?

Ricorda che la discussione non si scrive in un giorno. È una sezione che si costruisce progressivamente, aggiungendo pezzi man mano che colleghi teoria e risultati. Qui mostri maturità critica: niente frasi barocche, serve ragionamento logico e ben strutturato.

Un consiglio operativo: confrontati con il tuo docente di riferimento. Un confronto regolare ti aiuta a distinguere tra interpretazioni solide e letture forzate. Ma scrivi pensando ai tuoi veri lettori: relatore e commissione. Sono loro a valutare se il tuo lavoro ha senso o se sembra solo una collezione di citazioni.

Conclusioni (la chiusura del cerchio)

Le conclusioni sono il momento in cui tiri le somme. Qui non servono frasi complicate: basta riportare le informazioni essenziali, rispondere alle domande di ricerca e mostrare che hai capito cosa hai fatto. Una buona tesi si riconosce da come riesce a chiudere in modo chiaro e coerente.

Che sia una sperimentale o una compilativa, la logica non cambia: devi dimostrare che il tuo lavoro ha un senso e che si inserisce bene nel panorama degli studi. Le conclusioni servono anche per mostrare che sai guardare oltre e proporre possibili sviluppi futuri.

Segui questi 3 punti chiave:

Sintesi

In questa parte riassumi brevemente cosa hai fatto, senza riscrivere tutto da capo. Bastano poche righe per richiamare i punti principali del lavoro, facendo attenzione a non copiare interi pezzi dai capitoli precedenti.

Risposte alla domanda iniziale

Qui rispondi esplicitamente alle domande o ipotesi poste nell’introduzione. Una tesi ben strutturata deve dare risposte concrete, anche parziali. Non temere se non hai dimostrato tutto: l’importante è essere chiaro. Ricorda che una tesi senza buone conclusioni rischia di sembrare incompleta.

Possibili sviluppi futuri

Chiudi aprendo: spiega come la tua ricerca potrebbe essere ampliata, migliorata o applicata in futuro. È la parte che mostra maturità critica e voglia di andare oltre. Puoi anche accennare a come il tuo lavoro potrà influire su studi successivi o pratiche concrete. Non è un dettaglio da poco: spesso la chiarezza con cui indichi gli sviluppi incide anche sul voto finale.

Parti finali della tesi di laurea:
bibliografia, sitografia e allegati

Dopo conclusioni e saluti, ci sono ancora alcune sezioni fondamentali. Sembrano solo “appendici burocratiche”, ma in realtà dimostrano che la tua tesi è completa e curata.

Bibliografia (spoiler: no, non basta copiare da Wikipedia)

La bibliografia è la lista ordinata di tutte le fonti che hai usato: libri, articoli scientifici, saggi, manuali. È obbligatoria ed è anche una delle parti più osservate dalla commissione. Quando citi un articolo ricorda sempre di inserire anche il titolo del periodico: non basta dire “l’ho trovato online” come con i meme.

Ogni ateneo richiede uno stile di citazione preciso: tra i più comuni ci sono Harvard, MLA, Chicago e soprattutto lo stile APA, usato spesso nelle scienze sociali. Attento al cronologico di pubblicazione: metti in ordine le fonti seguendo la data di pubblicazione o almeno l’anno di pubblicazione, così non sembri disordinato.

👉 Morale: una bibliografia ordinata e coerente ti fa fare un’ottima figura, più di quanto pensi.

 

Sitografia (separata o integrata?)

Se oltre a libri e articoli hai usato fonti online (siti istituzionali, archivi digitali, pagine web), inseriscile in una sitografia. Alcuni atenei la tengono separata, altri vogliono tutto insieme. In ogni caso, evita link a caso e cita solo siti affidabili. Una buona norma è verificare che tutte le fonti siano ancora online: citare un link morto fa la stessa figura di citare MSN Messenger.

Se la fonte è in formato elettronico, segnalalo: la commissione non ama i misteri. Ah, e scarica sempre il file PDF, perché il sito che oggi funziona domani sparisce.

Appendici e allegati (dataset, codici, tavole progettuali)

Non sempre obbligatori, ma molto utili. Qui vanno dataset, codici di programmi, trascrizioni di interviste o – per architettura e design – tavole progettuali.

Gli allegati servono ad appesantire la tesi, ma a documentarla meglio. Ricorda: gli allegati non sostituiscono la tesi, la completano.

Repository ed embargo (quando serve davvero)

Alcuni atenei chiedono di caricare la versione definitiva della tesi in un repository istituzionale, cioè un archivio online dell’università.

A volte puoi chiedere un embargo, cioè ritardare la pubblicazione della tesi online, se contiene dati sensibili o materiali coperti da copyright. Non è per tutti, ma se il tuo ateneo lo prevede, questa è l’ultima tappa obbligatoria prima della discussione e rappresenta il vero luogo di pubblicazione della tua tesi.

Vuoi avere tutta la tesi riassunta in una sola pagina? Abbiamo preparato per te un template. Gratis, pronto da scaricare.

Casi particolari nella stesura della tesi:
dubbi e domande frequenti

Non tutte le tesi sono uguali. Alcuni corsi hanno regole specifiche, protocolli o allegati particolari da inserire. In questi casi, la tua tesi avrà qualche variazione, ma la logica resta sempre la stessa.

 

Tesi di area medica (revisioni sistematiche, PRISMA, PICO)

Se studi Medicina, Psicologia, Infermieristica o discipline sanitarie, è probabile che la tua tesi richieda metodi particolari:

  • PICO/PICOT → modello per impostare domande cliniche chiare (Population, Intervention, Comparison, Outcome, Time).

  • PRISMA → linee guida per scrivere revisioni sistematiche in modo trasparente.

  • CONSORT, STROBE, CARE → standard per presentare studi clinici, osservazionali e casi clinici.

Qui la revisione della letteratura è più rigorosa e strutturata. Non puoi inventare: devi seguire checklist ufficiali.

Tesi di architettura e design (appendici grafiche chilometriche)

In queste tesi il problema non sono i dati, ma lo spazio. Spesso includono tavole progettuali, rendering, schede tecniche. Non è un “di più”: è parte integrante della valutazione.

👉 Regola pratica: nel corpo della tesi descrivi e contestualizzi, nelle appendici metti i materiali visivi completi.

Cos’è una scoping review e quando serve

La scoping review è un tipo di revisione usata soprattutto nelle scienze sociali e sanitarie. Non mira a rispondere a una domanda unica e precisa (come la revisione sistematica), ma a mappare la letteratura esistente su un argomento.

È utile quando un campo di studio è ancora nuovo o poco esplorato. Ricorda: va sempre descritta nella metodologia e riportata nei risultati, non infilata a caso nelle appendici.

Fare la tesi senza impazzire è possibile. Noi ci siamo già passati e possiamo portarti fino alla discussione senza drammi.

Regole di sopravvivenza per scrivere
una tesi di laurea senza impazzire

La tesi è l’ultimo grande ostacolo del tuo percorso universitario. Non è solo ricerca e scrittura, ma anche resistenza psicologica: settimane di dubbi, notti su Word e litigi con la stampante. Per arrivare alla fine senza perdere la testa, bastano poche regole pratiche.

Formattazione e citazioni (non puoi inventartele)

Ogni università ha le proprie linee guida su margini, font, interlinea e numerazione. Non sono capricci: sono standard accademici che danno uniformità ai lavori, e seguirli è obbligatorio. Spesso le norme indicano anche se titoli di libri, articoli o parole straniere vadano scritti in corsivo o tra “virgolette”.

La cosa più noiosa? L’impostazione dei margini: tre ore per capire se vanno 3 cm o 3,5 cm… e la certezza che l’università guarderà solo quello.

Spoiler: sì, quasi sempre vogliono Times New Roman. È il font meno sexy del mondo, ma ti evita guerre con la segreteria studenti.

Segui sempre lo stile del testo richiesto: se l’ateneo dice interlinea 1,5 e giustificato, non fare il ribelle creativo, o ti tocca rifare tutto.

E ricordati la numerazione delle pagine: se ti dimentichi i numeri, la commissione ti guarderà come se avessi bruciato Aristotele in piazza.

Cura anche il pié di pagina: una nota scritta male rovina l’effetto più di un refuso in copertina.

Lo stesso vale per le citazioni: rispetta lo stile richiesto (APA, Harvard, MLA…) o rischi di sembrare superficiale. Preparati: sistemare margini e riferimenti ti porterà via giorni interi (a volte persino mesi, se inizi troppo tardi).

Norme antiplagio e dichiarazioni finali

Ogni tesi deve essere originale. Non significa inventare il mondo da zero, ma evitare il copia-incolla selvaggio. Tutte le tesi passano attraverso software antiplagio: se il livello è troppo alto, rischi di non laurearti.

Impara quindi a citare bene e a parafrasare. Non barare: un sospetto di plagio può bloccare tutto. Alla fine, molte università richiedono anche una dichiarazione di originalità, con cui certifichi che non hai commesso plagio. È un passaggio formale, ma fondamentale.

La presentazione orale
(slide, tempi e come non addormentare la commissione)

Arriva il giorno della discussione: dieci minuti che sembrano un secolo. Qui non basta aver scritto bene, serve saper raccontare.

La discussione non è un interrogatorio, ma un’occasione per mostrare sicurezza e chiudere in bellezza. Punta sulla chiarezza, non sugli effetti speciali: la commissione vuole capire cosa hai fatto, non se sai animare PowerPoint.

Disclaimer:

Si segnala che il presente sito propone esclusivamente servizi di assistenza e comunque riferiti ad elaborati ad uso strettamente personale, soggetti alla disciplina del diritto d’autore e alla L. 475/1925.

Copyright © 2025 Tutti i diritti riservati. Trattiamo i dati secondo il GDPR.